L’antivegetativa ecologica

P1030231Ne siamo tutti coinvolti, quando andiamo in spiaggia o quando mangiamo un pesce ma, per molti al di fuori del mondo della navigazione resta qualcosa di sconosciuto.

L’antivegetativa è una speciale pittura che si applica sulla parte immersa delle barche per evitare che alghe e vari animaletti ci si attacchino impedendo il perfetto scivolamento dello scafo sull’acqua.

Nell’antichità si sperimentarono varie tecniche a base di olio, zolfo ed arsenico per prevenire la crescita degli organismi acquatici e per proteggere le carene delle imbarcazioni dall’attacco dei vermi che penetravano nelle tavole del fasciame cibandosi del loro legno.

Intorno al 1760 si iniziò a rivestire gli scafi con sottili lastre di rame inchiodate sulla carena di legno a ricoprire tutta la parte immersa.

Il rame in acqua forma un leggero strato di ossido (il verderame) che crea un ambiente sfavorevole alla crescita del cosiddetto “fouling” tutta quella vita che cresce su qualsiasi oggetto immerso in acqua.

Lunga fu la corsa per la ricerca del prodotto perfetto in quanto le carene “ramate” nascondevano non pochi inconvenienti, non ultimo, quello di potersi applicare solo su scafi in legno rappresentando un ostacolo allo sviluppo delle navi in ferro che iniziarono ad essere costruite verso i primi del 1800.
Le prime pitture antivegetative si sperimentarono verso il 1860 ma si rivelarono costose e relativamente poco efficaci.

Verso la metà del 900 si perfezionarono pitture a base di ossido di rame che permettevano alle navi di rimanere in acqua per 12 / 18 mesi a seconda delle zone di navigazione senza dover effettuare operazioni di carenaggio.

Finalmente nel 1960 apparve il TBT, un efficacissimo composto organico “antitutto” che per decenni entrò a far parte della consuetudine del mondo della navigazione.
Le migliori pitture contenevano rame e TBT e permettevano ad una nave di restare fino a 5 anni in acqua senza manutenzione e navi, traghetti, petroliere e tutto il traffico commerciale ne ha fatto scorpacciate.

Ovviamente il mondo del diporto, barche a vela e motoscafi non è stato da meno e così le nostre belle baiette, i porticcioli tipici e tutto il litorale venne esposto all’attacco massivo di questa nuova sostanza di cui poco si sapeva riguardo all’impatto sull’ambiente marino.

Furono anni d’oro! Barche belle pulite, colori sempre nuovi e brillanti, qualcuno arrivava perfino a pitturare la carena di bianco.
In quel mentre, migliaia di tonnellate del letale TBT venivano dilavate in mare per l’indispensabile traffico delle merci ma anche per il sacrosanto piacere degli “yachtsman”
E questo avveniva nei mari di tutto il pianeta.

Tutti facevano finta di nulla: i fabbricanti, i cantieri navali, le riviste nautiche, tutti si riempivano le tasche senza farsi domande.
Anzi, per garantire efficacia insieme a maggiori consumi di pittura, si inventò l’antivegetativa autolevigante, capace di consumarsi per effetto dell’attrito sull’acqua esponendo sempre una superficie attiva in grado di mantenere il graduale rilascio della tossina.
Bisogna solo darne una mano in più! Idea geniale nel marketing, un po’ meno per l’ambiente marino.
Il successo è stato tale che ancora oggi il 90% dei proprietari di imbarcazioni continua a preferire la formula autolevigante, che qualche sofistico chiama “ablativa”.

Poi, un bel giorno, gli ambientalisti riuscirono a perforare la coltre di omertà e sollevarono i dubbi che tutti avrebbero dovuto porsi riguardo all’ecatombe di molluschi, pesci, piante, alghe, polpi, ed altro che si manifestava prepotentemente in molte parti del mondo ed in particolare nei mari chiusi o a basso rinnovo come il Mediterraneo.

La verità venne a galla: l’IMO (International Marine Organization) impose ai fabbricanti di pittura di eliminare il TBT nel giro di qualche anno (timing diversi secondo i Paesi) in quanto elemento sterilizzante che impedisce la riproduzione provocando effetti permanenti sulla capacità di rinnovo dell’ecosistema marino costiero.
Nel 2001 il TBT fu bandito e venne definito come il più potente inquinante tossico che sia mai stato deliberatamente riversato in mare.

Fu uno scossone.
Iniziò una corsa all’alternativa durante la quale assistemmo anche a soluzioni eclettiche come il rivestimento in silicone, efficace ma delicatissimo, ed immediatamente abbandonato.
Non esistendo valide alternative i vari stati imposero l’applicazione della normativa alle sole unità inferiori ai 25 metri di lunghezza, esonerando dal provvedimento le unità maggiori e le navi.

La teoria è che la nave viaggia da un porto mercantile (povero di bellezze naturali) ad un altro porto, navigando in alto mare e quindi non attraversa zone “sensibili” sul profilo ambientale.
Credo che ci sia un eccesso di semplificazione in questo soprattutto se, al posto delle petroliere, si analizza il movimento delle navi da crociera che ormeggiano nelle baie, si avvicinano ai parchi marini e magari fanno gli inchini passando sugli scogli del Giglio. Scusate ma non sono riuscito a trattenermi.

Quindi, in linea di principio, le barche si sono messe a posto con la coscienza, se non fosse che:

1) i principi attivi delle antivegetative restano dei prodotti chimici nocivi con effetti sull’uomo e sull’ambiente ancora da verificare, e chi dice il contrario lo diceva anche del TBT.
2) La maggior parte delle barche impiega antivegetative autoleviganti. (vedi sopra)
3) Le aree di carenaggio, salvo poche eccezioni, non sono equipaggiate con vasche di recupero e riversano in mare i fanghi tossici risultanti dal lavaggio a pressione delle carene. Lo hanno sempre fatto e continueranno a farlo.
4) Infine, anche qui pullula di furbetti… se ne vantano! Di conoscere tizio che gli procura di frodo un bidone di antivegetativa per navi che costa poco e dura un sacco. Peccato che c’è solo rossa!!?? Si, l’unico cruccio di queste persone riguarda il colore della loro carena. Neanche se i pesci potessero commentarlo.

Dobbiamo arrivare fino al settembre 2012 per veder più o meno ratificare il divieto globale all’uso di antivegetative a base di TBT.
Abbiamo dovuto raggiungere la quota di 450 nanogrammi per litro lungo i litorali italiani ( il limite detto accettabile è di 1 ng/lt) prima che l’evidenza prendesse il sopravvento sugli interessi.
E adesso, tutta quella pittura è diventata un rifiuto tossico, chi ne porta in carena deve eliminarla come tale o isolarla con pitture sigillanti e ciò che ieri era consuetudine, è diventato un reato.

Ma facciamo un piccolo passo indietro.
Mentre tutto ciò accadeva, in un paesino dell’Inghilterra, qualcuno provò a pensare in forma lucida e non condizionata dal profitto costi quel che cosi e, forte delle esperienze della vecchia marineria rispolverò quell’idea dei fogli di rame.

Si trattava di trovare un’applicazione più moderna e versatile che permettesse di “spalmare” il rame piuttosto che inchiodarlo.

L’idea prese forma mescolando polvere di rame finissimo in una resina epossidica bicomponente, creando un composto che, una volta reticolato, diventava duro e inattaccabile dall’acqua e dall’attrito.
Si trattava di trovare le giuste proporzioni e la giusta resina, resistente ma pennellabile.

Il principio era semplice, troppo semplice per essere accettato inoltre il risultato offriva un effetto di durata eccezionale, oltre 10 anni senza dover ripitturare!
ORRORE! Dobbiamo assolutamente boicottare!

E così, la soluzione ecocompatibile intelligente venne bistrattata da tutti, riviste e cantieri in primis.

Qualche armatore ci si avvicina timidamente salvo poi venir scoraggiato dalla community nautica terrorizzata di veder scappare la gallina dalle uova d’oro.
Qualche altro scarta l’idea a causa del costo, che è di circa 3 volte un carenaggio normale.
La quasi totalità ne ignora completamente l’esistenza.
Per fortuna c’è chi ha posto delle priorità sull’ambiente e si è soffermato un istante a pensare.
Non siamo tanti ma cresceremo e fieramente proseguiremo la nostra rotta rispettando il mare che amiamo.

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