Isla Tortuga!

Tortuga!Nella luce del mattino, Playa Caldera è una mezzaluna di sabbia bianca perfetta. Poche barche si dondolano all’ancora, sulla spiaggia solo una tettoia di legno. Tortuga ci accoglie così, semplicemente compare all’orizzonte come una striscia luminosa di azzurro e di bianco. Aquarius naviga in un’acqua che dal blu profondo del mare aperto diventa verde, e poi di un turchese inverosimile, intenso e mozzafiato.

Il mondo dei turisti agostani è rimasto nella scia, nella cacofonia di Margarita, grattacieli e discoteche e voli charter e tedeschi con le macchine fotografiche. Tortuga è un altro pianeta, è un mondo di silenzio perfetto, rotto solo dagli urli striduli di una sterna che ha qualcosa da dire, a chissà chi, chissà dove.

Nella capanna di legno, un pescatore sonnecchia nell’amaca. Filetti di pesce sono distesi al sole per seccare, le nasse da riparare poco distanti. Passiamo oltre, all’estremità della scogliera un catamarano imprudente ha pagato un prezzo troppo alto e le onde stanno distruggendo ciò che ne resta.

La vegetazione è rada, bassa, spinosa, sopravvivere non è facile in questa sabbia arida, in questo sole implacabile.

Quando ripassiamo di lì, il pescatore ci offre il caffè che ha preparato aspettando il nostro ritorno, per fare due chiacchiere, sapere cosa succede nel mondo, quanto è lontana l’Italia e raccontarci delle sue avventure di pesca.

Tortuga è grandissima, bianca, deserta ed abbagliante. Decine di chilometri di sabbia e cactus, habitat per tartarughe ed iguana, granchi ed uccelli marini.

Dall’altro lato dell’isola, Pedro ha aperto una minuscola “posada”. I cartelli promettono ciò che non si può mantenere, in quest’angolo di mondo così distante ed irraggiungibile, dove non c’è internet e del resto nemmeno un telefono, e dove già un birra fresca può essere una chimera se l’improbabile gruppo elettrogeno, come al solito, non funziona e non si può riparare.

Un rumore di un motore ci sorprende, è un aereo! Un piccolo monomotore fa un giro, prende le misure e si avvicina. La pista è una striscia di sabbia più chiara, che si distingue dal resto per l’assenza di cactus e per i segni dei copertoni. Sono i rifornimenti per Pedro, o qualche volenteroso visitatore in vacanza che arriva o riparte da questa destinazione altrimenti inaccessibile.

Torniamo a bordo, le sule volteggiano abili e si tuffano come siluri per pescare i pesciolini nascosti all’ombra della barca. L’acqua intorno è una piscina, la piscina più bella e grande del mondo.

Salpiamo l’ancora ed apriamo il genoa, poche miglia di vento portante per arrivare nell’ancoraggio dei nostri sogni, dove potremmo rimanere per settimane, e ne varrebbe la pena.

Cayo Herradura si nasconde dietro all’isolotto del faro, solitaria sentinella a segnalare ai naviganti le insidie di queste isole basse di sabbia e corallo. I delfini vengono a giocare intorno ad Aquarius, chiudiamo il genoa ed entriamo nella grande laguna azzurra.

Sott’acqua, al di là dell’isola, si apre un mondo emozionante e ricchissimo, l’acqua è profonda ed i pesci grandissimi e curiosi.

I pappagalli giganti volteggiano fra gorgonie, spugne, coralli rivestiti da una moltitudine di “Christmas trees” multicolori. Fra le rocce, un pesce palla, anche lui smisurato, ci guarda attento, una “viper moray” si lascia fotografare.

Camminiamo sulla spiaggia sino ad arrivare dall’altro lato, i pescatori sonnecchiano all’ombra della capanna sulla spiaggia e lasciano passare le ore calde della giornata. Scambiamo un pesce bellissimo con rhum e generi di prima necessità, il denaro ha poco valore in un posto dove non c’è nulla da comprare.

I Tortuguillos, due cayos anch’essi di sabbia, sono poco distanti. La guida nautica è scritta con il solito principio del “copia-incolla” di informazioni mai verificate e consiglia un ormeggio che però ci sembra insicuro. Senz’altro è più saggio ormeggiarsi dove stanno i pescatori, sottovento, in calma di vento a pochi metri dalla riva.

Sul fondale si contano le stelle marine, e sembra impossibile che esistano spiagge dove a perdita d’occhio non si vede nessuno. Siamo pur sempre in agosto!

Tortuga ogni volta ci sorprende: esistono ancora posti così, bellissimi e intatti, di cui i “faccendieri” del turismo non si sono ancora accorti.

Forse un giorno la pista di Pedro diventerà un aeroporto, ci saranno barche veloci che porteranno qui i turisti da Margarita, e le società di noleggio invaderanno questi ormeggi con barche stipate di chiassosi velisti. Forse qualcuno ci farà un villaggio turistico, metterà una centrale elettrica, un dissalatore e già che ci siamo un porto per i rifornimenti.

Forse, ma speriamo di no. Per il momento questo posto lontano da tutto, privo di acqua e di risorse, dove non arriva né luce, né telefono né nulla di ciò che appartiene al nostro mondo, è appannaggio dei pochi navigatori che passano di qui nella loro rotta verso Panama e di pescatori abbrustoliti dal sole.

Racconto scritto da Enrica, tratto dal sito Ecocrociere.com – estate 2005

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